Incollare il marmo non significa semplicemente far aderire due superfici lisce: vuol dire assecondare una pietra metamorfica che possiede porosità variabili, un coefficiente di espansione termica relativamente basso e una sensibilità chimica a sollecitazioni acide o alcaline. La colla deve quindi penetrare nei microcapillari senza macchiare, polimerizzare senza sviluppare tensioni che possano rompere il materiale e, soprattutto, mantenere nel tempo la stessa cromia della lastra. Un mastice inadatto può ingiallire, rilasciare ombre nell’area d’incollaggio, fessurarsi per effetto delle dilatazioni stagionali o perdere adesione in presenza di umidità. Da qui l’esigenza di selezionare una formulazione su misura per il tipo di marmo, per la destinazione d’uso – interno o esterno – e per le sollecitazioni meccaniche attese.
Indice
- 1 Il ruolo dei mastici poliestere bicomponenti
- 2 L’adesione strutturale garantita dalle resine epossidiche
- 3 Quando usare i poliuretani elastici
- 4 Sigillanti siliconici e applicazioni non strutturali
- 5 L’importanza della preparazione delle superfici
- 6 Considerazioni cromatiche e trasparenza dell’adesivo
- 7 Resistenza chimica e agenti di pulizia
- 8 Fattori ambientali: temperatura, umidità e tempo di indurimento
Il ruolo dei mastici poliestere bicomponenti
Per molte riparazioni rapide e per la stuccatura di piccoli pezzi, i professionisti del settore lapideo scelgono mastici poliestere caricati con polveri di marmo. Queste paste, miscelate con un perossido di benzoile al momento dell’uso, polimerizzano in tempi brevi, generando una superficie levigabile che si intona facilmente al colore originario del blocco. Tuttavia presentano limiti chiari: la resistenza a trazione è inferiore a quella degli epossidici, la stabilità cromatica può risentire dell’esposizione ai raggi UV e, se utilizzate su marmo bianco o su giunzioni molto sottili, talvolta appaiono aloni giallognoli in controluce. Sono quindi ideali per riempire buchi non strutturali, per ricreare piccoli spigoli scheggiati e per incollaggi interni in zone non critiche, ma meno adatti a lastre portanti o a esterni soleggiati.
L’adesione strutturale garantita dalle resine epossidiche
Quando il compito dell’adesivo è sostenere carichi importanti, come nelle pedate di una scala o nei rivestimenti a parete di grande formato, la scelta ricade quasi sempre su resine epossidiche bicomponenti. Questi sistemi, composti da resina e indurente, sviluppano una rete tridimensionale che offre alte prestazioni meccaniche, capacità di riempire fughe anche ampie e un’ottima resistenza agli agenti chimici. Mischiando il prodotto con farine di marmo si ottiene un impasto tixotropico che non cola e si può pigmentare con ossidi per raggiungere la tonalità desiderata. Il tempo di lavorazione è più lungo rispetto ai poliestere, ma la forza di adesione finale compensa l’attesa. Va considerato, però, che l’epossidico puro è più rigido: se il marmo è incollato su supporti con dilatazioni differenti (per esempio pannelli metallici soggetti a sbalzi termici), lo strato epossidico potrebbe non assecondare i micro movimenti, portando nel tempo a microfessure sul bordo. Per applicazioni esterne, soprattutto su facciate ventilate, i produttori propongono formulazioni epossidiche elasticizzate che mitigano questo rischio.
Quando usare i poliuretani elastici
Tra le colle monocomponenti, i sigillanti poliuretanici ad alta adesività offrono un equilibrio interessante fra elasticità e tenuta: polimerizzano grazie all’umidità ambientale, creando un cordone interno flessibile che accompagna le deformazioni senza perdere coesione. Questa caratteristica li rende utili per incollare soglie di finestre o davanzali soggetti a sbalzi termici, perché compensano la trazione differenziale fra pietra e muratura. Lo svantaggio principale è la minor resistenza a compressione rispetto a un epossidico caricato; per un piano cucina, dove taglieri e casseruole pesanti poggiano di continuo, conviene ancora un sistema bicomponente più rigido. Inoltre, alcuni poliuretani possono scolorire leggermente sotto i raggi UV, perciò vanno scelti nella versione stabilizzata se il marmo è esposto a luce intensa.
Sigillanti siliconici e applicazioni non strutturali
Il silicone neutro, spesso usato per sigillare giunti elastici e dilatazioni, trova spazio anche come adesivo di finitura su piccole superfici dove l’aspetto estetico prevale. È adatto, per esempio, a fissare copribordo, battiscopa in marmo di pochi millimetri o zoccolini interni, grazie alla sua eccezionale impermeabilità e alla facilità di rimozione senza danni. Tuttavia non va considerato una colla strutturale: la forza di coesione non regge carichi di taglio elevati, e un pannello di marmo pesante incollato solo con silicone rischia di distaccarsi. Inoltre la sua trasparenza apparente può virare nel tempo se dietro la lastra si forma condensa: l’acqua stagnante, in presenza di spolverio di cemento, genera efflorescenze che si riflettono attraverso il sigillante. Pertanto, silicone sì, ma solo per fughe elastiche o fissaggi ausiliari.
L’importanza della preparazione delle superfici
Qualunque colla si scelga, l’adesione dipende per un buon settanta per cento dalla pulizia e dall’ancoraggio meccanico della superficie. Il marmo va sempre sgrassato con un diluente compatibile (alcool isopropilico, acetone puro o detergenti specifici privi di oli) e asciugato fino all’evaporazione completa. Strati di cera lucidante, residui di polvere di taglio o impronte di silicone comprometterebbero la presa creando un film intermedio che si stacca appena l’adesivo indurisce. Nei casi in cui il marmo abbia subito vecchie lucidature con piombo o stearati, è consigliabile carteggiare leggermente la zona di incollaggio con carta al carburo di silicio grana 220, rimuovere i residui e procedere poi con un primer di adesione proposto dal produttore della colla: questi promotori, spesso a base silanica, migliorano la bagnabilità della pietra e sigillano eventuali capillari, impedendo la migrazione di oli o pigmenti nella massa.
Considerazioni cromatiche e trasparenza dell’adesivo
Il marmo bianco di Carrara o le varietà beige molto chiare pongono un problema estetico: se la colla ingiallisce anche di poco, la vena sottile appare offuscata. In questi casi sul mercato esistono resine epossidiche e poliesteri water clear, cioè a bassissimo indice di colorazione, formulate con additivi anti-UV. Sono più costose ma imprescindibili per incollaggi a vista. Per marmi venati di verde, rosso o nero, la trasparenza non è sempre un bene: un adesivo ambrato può enfatizzare la profondità della pietra, mentre resine leggermente lattiginose mascherano eventuali linee di giunzione. La scelta cromatica dell’adesivo diventa quindi quasi una decisione di design: conviene eseguire prove su campioni scartati per valutare come la luce riflessa attraversa l’interfaccia fra le due lastre.
Resistenza chimica e agenti di pulizia
Cucine e bagni sono ambienti dove il marmo subisce, oltre allo stress meccanico, continui attacchi di acidi lievi, basi, tensioattivi e solventi domestici. Un adesivo poliesterico, pur performante in presa rapida, risulta più suscettibile all’idrolisi se esposto a detergenti fortemente alcalini. Un epossipoliuretanico, invece, sopporta meglio candeggina diluita e sgrassatori, pur dovendo evitare l’immersione prolungata in sostanze a pH estremo. Da qui la regola di incollare piani di lavoro e alzate con resine certificate per il contatto accidentale con cibi, che non rilascino composti volatili né assorbano olio o vino. Gli adesivi classificati “food safe” secondo normative europee o statunitensi garantiscono bassi livelli di migrazione: requisito indispensabile in qualsiasi laboratorio di gastronomia.
Fattori ambientali: temperatura, umidità e tempo di indurimento
Le schede tecniche indicano intervalli di temperatura per la posa, di solito fra 10 e 30 gradi. Lavorare sotto soglia allunga a dismisura il tempo di indurimento, mentre temperature eccessive riducono la durata della miscela, gelificando il prodotto prima che la lastra sia nella posizione corretta. L’umidità relativa, se troppo alta, interferisce con i poliesteri generando bolle; con gli epossidici può invece azionare reazioni superficiali che lasciano uno strato appiccicoso chiamato “blushing”. Un cantiere controllato, con deumidificatore e termoventilatore nei mesi freddi, assicura la polimerizzazione uniforme del giunto e riduce l’insorgere di difetti invisibili al momento della posa ma evidenti dopo poche settimane.