Quanto Tempo Conservare le Ricevuta di Affitto

Decidere quanto a lungo conservare le ricevute di affitto significa tutelarsi contro due fronti distinti: da un lato il rischio di contestazioni civilistiche tra locatore e conduttore, dall’altro gli eventuali accertamenti fiscali dell’Agenzia delle Entrate. Ogni ricevuta attesta il pagamento di un canone periodico e, in alcuni casi, la corretta applicazione della «cedolare secca» o dell’Irpef ordinaria da parte del proprietario. Smaltire troppo in fretta questi documenti equivale a perdere la prova principale di aver adempiuto agli obblighi contrattuali e tributari.

Il termine di prescrizione dei canoni secondo il codice civile

L’articolo 2948 del Codice civile inserisce i “canoni di locazione” tra i crediti che si prescrivono in cinque anni. Significa che, trascorsi cinque anni dalla scadenza di un dato canone, il locatore non può più agire in giudizio per reclamarne il pagamento; di riflesso, il conduttore potrebbe trovarsi a dover dimostrare un versamento solo entro quel medesimo arco temporale. La regola vale sia per gli affitti abitativi sia per quelli ad uso diverso dall’abitativo. In linea teorica, dunque, conservare le ricevute per cinque anni dopo la data di scadenza del relativo canone sarebbe sufficiente a neutralizzare eventuali azioni di recupero crediti.

Il ruolo delle imposte dirette e dell’accertamento tributario

Sul piano fiscale la traccia si allunga: l’Agenzia delle Entrate può notificare accertamenti entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione nella quale il reddito da locazione (per il locatore) è stato o avrebbe dovuto essere indicato. Poiché il proprietario dichiara i canoni percepiti nell’anno d’imposta di riferimento, la ricevuta di gennaio 2024 confluirà nella dichiarazione 2025 e potrà essere oggetto di controlli fino al 31 dicembre 2030. Di fatto, la “coperta” documentale si estende a dieci‐undici anni dalla data della singola quietanza. Anche il conduttore può doverla esibire: chi usufruisce della detrazione Irpef per canoni di locazione nella dichiarazione 730 deve poter provare l’effettivo pagamento qualora l’ufficio la richieda nello stesso arco di tempo.

La prassi degli studi professionali e delle associazioni di categoria

Commercialisti e Associazioni della Proprietà Edilizia consigliano di non distruggere le ricevute prima che siano trascorsi almeno dieci anni dall’ultima registrazione di contratto e dall’ultimo pagamento. Il motivo risiede nella casistica giudiziaria: a volte nascono liti legate a spese condominiali o a conguagli che riaprono la discussione sui canoni anche oltre la soglia dei cinque anni, specialmente se nel frattempo è stata interrotta la prescrizione con raccomandate o diffide. Avere ancora le ricevute in originale o in copia a quel punto può fare la differenza tra un rigetto e un riconoscimento di credito in tribunale.

La validità delle copie digitali alla luce del Codice dell’Amministrazione Digitale

Dal 2016 la normativa italiana ammette che un documento analogico privo di firma digitale venga conservato in formato elettronico se la scansione è accompagnata da un processo di conservazione a norma (firma digitale e marca temporale del sistema di conservazione). In assenza di questo iter, la scansione serve solo come indizio: il giudice può comunque richiedere l’esibizione dell’originale cartaceo. Se non si dispone di un servizio di conservazione sostitutiva accreditato, conviene allora archiviare le ricevute fisicamente, eventualmente in buste trasparenti classificandole per anno, e tenere le scansioni come backup consultativo.

Il momento opportuno per lo smaltimento definitivo

Prendendo a riferimento l’ultima ricevuta legata a un contratto (di solito quella coincidente con la cessazione del rapporto o con la restituzione del deposito), la formula prudenziale suggerisce di attendere undici anni civili completi prima di procedere allo scarto. Trascorso tale periodo:
sono decorsi i cinque anni di prescrizione civilistica per gli eventuali canoni non pagati;

sono decorsi i termini ordinari di accertamento fiscale relativi a quella dichiarazione;

sono verosimilmente concluse anche eventuali cause di sfratto o procedure esecutive, che raramente si protraggono oltre un quinquennio dalla convalida.

Chi intende adottare criteri ancor più cautelativi può applicare la regola dei “dieci anni + ultimo accertamento notificabile”, ma nella pratica domestica la soglia undicennale copre ogni evenienza ordinaria.

Conclusioni

La ricevuta di affitto non è un semplice pezzo di carta: sostiene il diritto del locatore a dichiarare il reddito e quello del conduttore a provare l’avvenuto pagamento. Conservare per almeno dieci anni—idealmente undici—significa allinearsi sia alle prescrizioni civilistiche sia alle finestre temporali dell’amministrazione fiscale. Dopo quel termine, se non pende alcuna lite o accertamento, le ricevute possono essere distrutte in modo sicuro. Nel frattempo, ordinarle per anno e mese, proteggerle in un contenitore anti‐umidità e, se possibile, affiancare una scansione consultativa, è il modo più semplice per trasformare l’archivio di casa in un alleato contro imprevisti e contestazioni.

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